La Cianciana di "Alessio di Giovanni"
C
ianciana è un piccolo centro posto su una collina a poco meno di 400 m. di altezza da cui si scorge anche il mare agrigentino.
Le reali origini del paese si collocano però nel XVII sec. verosimilmente nell’anno 1640 quando il piccolo centro venne ricostruito da Don Diego Joppolo capostipite di una
nobile famiglia con il nome di S. Antonio da Cianciana e passata successivamente nel 1770 al feudo dei Bonanno. Benché la principale risorsa economica di questo piccolo
centro sia sempre stata l’agricoltura, grazie alla scoperta di alcuni giacimenti minerari di zolfo, Cianciana ebbe tra l’Ottocento e i primi del Novecento un periodo di
notevole sviluppo economico e urbanistico. Il poeta inizia la sua esistenza proprio dalla casa che fu di Don Diego Joppolo, nel 1872. Un palazzo dalle grandi dimensioni,
che in origine era una torre di avvistamento. Simbolo di potere nobiliare ed economico adornato da un arco Tudor all’ingresso e dallo stemma araldico della famiglia Joppolo.
Il padre Gaetano proprietario di una zolfara, a cui la famiglia attingeva il suo benessere economico in quel periodo, rappresentava per il poeta il luogo della sofferenza e
della fatica, motivo ricorrente nel suo pensiero letterario. interprete delle “voci del feudo”: accanto alla dolente voce dei contadini c'è quella dei reietti della surfara, in cui
personaggi di un nuovo inferno dantesco sono dannati da vivi: una “carnàla, no di morti ma di vivi”.
“un “carcaruni” che, di notte, “fuma scunsulatu”, mentre “supra la muntagna / s'allarga scuru lu celu stiddatu, / si fa cchiù visitusa la campagna.”
A
lessio Di Giovanni, nato a Cianciana nel 1872, fu un poliedrico scrittore siciliano che si distinse come poeta, romanziere, drammaturgo e demo-psicologo. Le sue opere, scritte sia in versi che in prosa, sono un tributo alla tradizione contadina e al linguaggio del diletto siciliano, riflettendo l'influenza di varie culture sul popolo isolano.
Figlio di Gaetano, proprietario di miniere di zolfo, e Filippina Guida, Alessio crebbe immerso nella cultura locale, influenzato dal padre studioso di storia e folklore. Dopo anni difficili segnati dalla povertà, si trasferì a Palermo nel 1884, ma nel 1893, di fronte alla precarietà economica, tornò a Cianciana con la madre mentre il padre si stabilì a Noto.
Nonostante le avversità, Alessio sostenne gli esami di maturità nel 1893 e l'anno successivo sposò Caterina Leonardi, con cui ebbe sette figli. La sua vita fu segnata da alti e bassi, tra successi letterari e tragedie familiari.
Il declino della sua salute, causato dal diabete e dalla perdita della vista, lo portò a ridurre la sua attività letteraria a partire dal 1938. Sentendosi vicino alla fine, le sue parole sembravano richiamare quelle del suo personaggio, padre Mansueto.
Alessio Di Giovanni morì a Palermo il 6 dicembre 1946, lasciando molte opere incompiute e inedite che sono ora custodite presso la biblioteca comunale della città. La sua eredità letteraria continua a ispirare e a riflettere la ricchezza culturale della Sicilia.
U’ paisi
Erano gli anni del secolo scorso, Cianciana piccolo paese dell’entroterra agrigentina, situato in collina. Era il luogo dove il poeta trascorreva le proprie giornate, insieme ai suoi concittadini. Quello che equiparava questa gente era la povertà di quel periodo. Una miseria strisciante in ogni angolo della cittadina, in cui erano presenti gesti di solidarietà. Il tempo trascorreva con i contadini a lavorare duramente nei campi per 10 o 12 ore al giorno per assicurare il mantenimento di tutti i familiari.
Gli zolfatari giovani e adulti prestavano le loro braccia e la propria schiena calata per diverse ore al giorno per un tozzo di pane amaro intriso di sudore. Questa era la Cianciana sonnolente di quel periodo, dove il tempo era scandito dalla torre che sovrasta la Piazza dell’orologio. Un tempo sempre uguale in un mondo duro e dall’esistenza dal rigore delle condizioni di vita. Il paese rappresentava una delle tante aree marginali della Sicilia che risentiva ancora della cultura feudale stagnante, che aveva lasciato in eredità economie arretrate che condizionavano il modo di agire e l’atteggiamento generale dei suoi cittadini.